Pubblichiamo questo bell'articolo di Remo Branca apparso in un numero della rivista Frontiera del 1972. Remo Branca racconta la vera storia della nascita dei pupazzi di Eugenio Tavolara, con una serie di interessanti aneddoti della vita artistica sassarese degli Anni 10.
Nell'anno 1916, durante la guerra iniziata il 24 maggio 1915, fu organizzata a Sassari la prima Mostra d'arte sarda del nostro secolo, a beneficio della cosiddetta Mobilitazione Civile. Era un avvenimento nuovo, emozionante per tutti noi giovani, una occasione per l'improvviso gruppo di artisti che cominciava a far rumore in Sassari, con Giuseppe Biasi in testa, a Nuoro con Francesco Ciusa e Antonio Ballero. Fu quello veramente l'inizio del movimento artistico che in Sardegna esprimeva, per la prima volta nella storia, l'anima locale. Di quell'avvenimento si possono leggere nella pagina sarda del Giornale d'Italia a firma di Michele Saba, e sulla stampa locale larghe notazioni. Si videro arrivare da Bosa tre fratelli, Federico, Melkiorre e Pino Melis, per i quali, come per tutti i giovanissimi, si aprivano le porte della gloria. Trionfò Peppino Biasi, condizionando l'orientamento estetico di quasi tutta la pittura sarda, che vide nella Barbàgia e nei suoi costumi un popolo ed una terra da scoprire. Ma fece molta impressione la comparsa di una giovanetta, di Edina Altara, che presentava una serie di gustosi quadretti costruiti con pezzi di carta colorati. Pompeo Calvia n'era incantato, tanto che per una di quelle scenette compose una quartina: una mamma in costume teneva fra le braccia un figlioletto che strillava maledettamente alla vista del catino d'acqua in cui prevedeva di fare il bagno: Su pizzinnu a su babbu est simizzante. Non cheret abba mancu a meichina. — Cherides di non fetta s'arrogante? Comà, ponidechelu in sa mesina. La scenetta era una visione barbaricina, e Pompeo Calvia colse l'occasione per pizzicare i nuoresi che, non sapendo altro che fare, a quei tempi, bevevano più del necessario. Ma ora, forse, non «bevono» se non il necessario. Dietro il successo di Edina Altara, si diceva, c'era la simpatia di Biasi, che sapeva consigliare ai giovani, senza illuderli la via dell'arte. Ed Edina, la bella Edina, non si sottrasse ai consigli della prepotente personalità di Peppino, il fondatore dell'arte sarda, e che aveva fatto infuriare Antonio Ballero quando gli disse: ma non potresti prima impa-rare un po' di disegno?
Altra polemica furibonda nacque fra Pompeo Calvia, che aveva esposto alcuni suoi quadretti, e Salvator Ruju. Mi pare che quest'ultimo lo scrisse anche (a me lo disse) che il poeta dei sassaresi «non doveva esporsi come pittore: a lui bastano i versi». E Pompeo Calvia si sfogava con me contro questa malignità del letterato, dicendo che come letterato lo rispettava, ma che di pittura non ne capiva nulla. Ai margini della Mostra Sassari si divertiva, come sempre, per questi piacevoli incidenti.
Non ricordo, perché nella memoria vi si sovrappongono le Mostre successive, quali altri artisti giunsero in quella occasione alla ribalta. Certo fece impressione la statua dello Strillone di Antonio Usai, una bella scultura che rappresentava un «pizzinnu pizzoni» che si era addormentato avendo per letto un paracarro, mentre dalle mani gli era sfuggito il pacco della Nuova Sardegna (il titolo si leggeva su una testata).
Questa premessa era necessaria per dire che Edina Altara seppe rimanere nella sua gloria di arte fanciulla per i fanciulli. Così la scoprì Giuseppe Fanciulli, direttore successo a Vamba nella direzione del Giornalino della Domenica. La scoprì nella sua prima visita del 1921 a Sassari, alla Barbàgia, durante la quale gli fui compagno. Come altre volte è stato ricordato sulle pagine di Frontiera sul Giornalino comparve una serie di articoli dal titolo «In terra Sarda». Il Giornalino di Vamba aveva buoni motivi per ricordare Sassari perché da Sassari era arrivato a Vamba uno sconosciuto pretendente al Concorso Nazionale per una copertina al suo settimanale. Biasi vinse fra tanti bravi artisti italiani già noti. Da allora nel Giornalino comparvero una serie di copertine a colori, originalissime di Giuseppe Biasi quasi tutte di ambiente sardo. Queste lo resero popolare fra i grilli (così si appellavano gli abbonati che festeggiavano unitariamente, dalla Lombardia alla Sardegna alla Sicilia, la loro ricorrenza nazionale, in concomitanza con la fiorentina «Festa del Grillo»).
Ora nello stesso numero in cui Fanciulli iniziò la serie delle sue impressioni del viaggio in Sardegna, e che fu per lui una scoperta, (A. IX, n. 17, 16 ottobre 1921, pag. 20) il Giornalino pubblica un articolo intitolato «Tra i Balocchi: Edina Altara». Vi si legge: queste figurine che ammirate (sono di una vostra amica, una fanciulla sarda) sono fatte con la carta: sì, carte di vari colori, incollate abilmente, ma semplicemente. Rappresentano scene di gioco, e scene familiari, e gente che va per la sua strada, e bambine e alberi, e animali».
Era successo che Edina Altara era passata dalle figurine incollate sulla carta, alla scultura di carta. Basta vedere le illustrazioni che riportiamo dal Giornalino perché il lettore si renda conto di che cosa si tratta: dei pupazzi venuti dopo e che andarono in giro con il nome di Tosino Anfossi. Ma l'articolo, firmato Gingillino (in realtà era uno degli pseudonimi del Fanciulli), non si contenta della presentazione ma dà anche dei consigli, proseguendo, alla abile fanciulla sarda: «Se le figurine di Edina Altara sono troppo fragili e delicate, così fatte di carta, perché non si potrebbero fare in legno? Semplice legno dipinto, sì ma dipinto con grazia e con intelligenza gioiosa ... e se ne potrà fare un numero infinito, un po' copiando dal vero, e un po' inventando», così come fa Edina Altara col pensiero rivolto ai bambini.
Quest'idea di passare dalla carta al legno fu colta da Tosino Anfossi, anch'egli grillo e lettore del Giornalino. Nacquero così nella mente del grillo Anfossi l'idea di fare la bambola sarda, la regina della casa, con tutti i suoi sudditi. Si mise al lavoro, che però richiedeva una vera officina da artigiano, che potesse tradurre in opera e vestisse i suoi pupazzi che veniva disegnando con fervida fantasia. Associò alla sua attività Eugenio Tavolara. Ma io vidi per la prima volta i pupazzi di Tavolara uscire dalle mani dell'amico Tosino. Povero Tosino, morto tanto giovane mentre gli arrideva un irrequieto avvenire d'artista. Si mostrava sempre imbronciato e frettoloso, e così lo conobbi in Sassari in cerca di quel che capiva non essere i pupazzi sardi di legno il suo punto d'arrivo ma, forse, un intervallo artigianale, che poteva aprirgli vie più ambiziose.
Eugenio Tavolara ereditò l'invenzione, e fece, a quella invenzione molto onore, che tutti, in Italia e all'Estero, apprezzarono come prova della nascente fantasia ed industriosità dei nuovi sardi. Ed Edina e Tosino, così, furono dimenticati.
Ma la storia, anche la grande storia, è fatta di queste comuni vicende, sempre intenta a trovare un solo inventore, che possa diventare simbolo unico, e perciò facile, del genio umano. E se è lecito avvicinare le cose piccole alle grandi, ricordiamo: non successe così per Gutemberg che non inventò affatto la stampa, ma con il suo spirito preveggente rese più pratica ed universale l'invenzione degli anonimi inventori e incisori del legno, che prepararono le prime pagine xilografiche del libro stampato. C'è chi semina e chi raccoglie, e la gloria è per tutti, dal momento che l'uomo, nonostante le strombazzate alienazioni, nel processo delle arti e della tecnica non è mai solo.
PS = chiunque abbia in casa i vecchi giocattoli di carta di Edina Altara è pregato di contattarci info@edinaaltara.it
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