Dell’esistenza dei lavori di Edina Altara per le motonavi Oceania e Africa, dopo il disarmo delle navi, nel 1977 e nel 1980, non si è saputo più nulla sino alla fine del 2007. Nel novembre di quell’anno, infatti, la Idea Books ha pubblicato il volume dell’architetto Paolo Piccione sui progetti degli interni navali di Gio Ponti. Per la sala da pranzo di prima classe della Oceania, Edina ha realizzato tre splendidi specchi dipinti. Nel febbraio del 2009 sono riuscito a individuare e a fotografare due di questi pannelli in un deposito del ministero dei Beni culturali. Nel luglio dello stesso anno, sul secondo numero di “Forme Moderne – Rivista di storia delle arti applicate e del design italiano del XX e XXI secolo”, diretta da Irene de Guttry, Maria Paola Maino e Alessio de Cristofaro, la critica d’arte e docente di storia dell’arte contemporanea Giuliana Altea (autrice della monografia su Edina Altara pubblicata dalla Ilisso), ha scritto un articolo su questo ritrovamento: “Edina Altara – Riflessioni sull’artista in occasione del ritrovamento dei due grandi pannelli decorativi del 1951: Gio Ponti, la decorazione e la pittrice cantastorie”.
Riportiamo qui una parte dell’articolo di Giuliana Altea, che dà l’idea dell’importanza della scoperta.
Più volte le pitture su vetro di Edina vanno a ornare mobili e ambienti disegnati da Ponti, rivestendole come una pelle colorata e seducente. I due grandi specchi pubblicati sulla rivista Forme Moderne restituiscono uno degli esempi più brillanti di questa collaborazione. Realizzati nel 1951 per la sala da pranzo di prima classe della motonave Oceania — una delle molte commissioni pontiane di arredo per transatlantici —, erano noti finora solo dalle fotografie pubblicate nel 2007 sul libro di Paolo Piccione. Sui due pannelli, un tempo appesi, insieme a un terzo, sulla parete di poppa della sala, si nota un lungo fregio mitologico: nel primo, un genio dai piedi in fiamme (allegoria della navigazione a motore) abbraccia la Terra col suo corteo di animali e di piante; nell’altro, Nettuno, circondato di Nereidi e Tritoni, si accampa trionfante su un mare popolato di navi. A differenza degli specchi eseguiti nel 1949 per il Conte Grande e il Conte Biancamano, dipinti con stesure più mosse e pittoriche, ma di tono un po’ opaco e dimesso e poco avventurosi nelle iconografie (nature morte e costumi popolari italiani), in questi trovano libero sfogo l’humour e la fantasia poetica propri dell’Altara migliore. La «freschezza ed elementarità rare e sorprendenti» del racconto sono messe in valore dall’ironia garbata della stilizzazione, dai semplici ritmi compositivi e dalla trasparenza acquea dello specchio, che dà al colore una luminosità inaspettata. Se nel Conte Grande e nel Biancamano si intuiva la presenza di soggetti e soluzioni imposti, qui l’artista ha lavorato evidentemente senza copione, a tutto vantaggio del risultato. Il salto di qualità non era sfuggito a Ponti: «si lasci fare a essa, guai a darle noi un tema: si spegne tutto», osservava nell’articolo dedicato a Edina pubblicato su Domus nel 1952. Di fatto, dal 1950 in poi, l’architetto lascia fare a lei. Le porte di casa Lucano a Milano (da cui l’articolo traeva spunto), alcuni mobili, il pannello per l’Andrea Doria (1951) e gli altri appena successivi per l’Africa (1952) — tutti lavori in specchio dipinto — condividono lo stile immaginoso e teneramente ironico dei lavori per l’Oceania, che si impone come cifra caratteristica dell’artista negli anni della collaborazione con Ponti.
Grazie del lavoro...
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