“Con l’Andrea Doria è affondata una parte della mia vita”. Con questa frase alla fine di luglio, nel 1956, Edina Altara commentò piangendo l’ultimo viaggio del più bel transatlantico della storia. Il viaggio in fondo all’oceano Atlantico. Su quella nave, infatti, c’era una delle opere d’arte più importanti della carriera artistica di Edina. Il grande specchio dipinto con soggetti mitologici per il bar della prima classe.
Il 7 febbraio 2008 ho scritto per La Nuova Sardegna un articolo dedicato allo specchio dipinto da Edina per l’Andrea Doria. In due fotografie dell’inizio degli Anni 50 in cui Edina è ritratta nel suo studio, si vede uno dei vetri dipinti per il bar di prima classe del transatlantico. In particolare, si tratta della parte centrale del grande dipinto, in cui si vedono Bacco e Arianna.
Cliccando qui è possibile vedere tutte le immagini disponibili sull’opera di Edina Altara per l’Andrea Doria. Compresa la foto di una modella, ritratta in casa di Edina nel 1955, dove si intravede uno dei vetri. Non si sa come mai nel 1955, a tre anni dal viaggio inaugurale della nave, uno dei dipinti di Edina si trovasse ancora a Milano, nella sua casa-studio. Non è escluso che Edina avesse realizzato una seconda copia del dipinto, da tenere per sé.
Questo è il testo dell’articolo che ho scritto per la Nuova, intitolato: “L’arte di Edina Altara e il dipinto custodito nell’abisso del mare”. Cliccare qui per vedere direttamente la pagina del giornale.
Una fotografia in bianco e nero, una pittrice nel suo studio a Milano. Primi Anni 50. Sorride sulla sua ultima creatura, un dipinto su specchio: Bacco e Arianna. Intorno alla pittrice, un burattino di cartone e statuine di palma nana intrecciata. In basso, sotto il cavalletto, la sua collezione di libri d'arte. Edina Altara, pittrice e illustratrice sassarese scomparsa nel 1983, aveva 55 anni, in quella foto. Di quello specchio dipinto si era persa ogni traccia. Il suo destino, fino a pochi giorni fa, era avvolto nel mistero. Un'altra fotografia in bianco e nero, pubblicata alla fine del 2007 su un libro dedicato a Gio Ponti, ha risolto finalmente l'enigma. Il dipinto faceva parte dell'arredamento del Gran bar di prima classe dell'Andrea Doria. Lo specchio di Bacco e Arianna è finito nel regno di Nettuno. L'opera di Edina Altara, assieme ad altri tre suoi pannelli, è adagiata sul fondo dell'oceano, nella pancia del transatlantico più bello della storia, affondato il 25 luglio 1956. La collaborazione tra la pittrice sassarese e Gio Ponti iniziò dieci anni prima rispetto a quel tragico episodio. Gli specchi dipinti da Edina ornavano i mobili disegnati dall'architetto milanese, ma anche le porte delle case che arredava, e gli ambienti dei grandi transatlantici del dopoguerra. Ponti non dava indicazioni sui soggetti da dipingere: «Guai a darle un tema: si spegne tutto». E lei, ripescando nella memoria e documentandosi sui libri per ragazzi, raccontava gli episodi mitologici studiati a scuola, dipingendo sugli specchi e sui cristalli. In quel periodo, tra Ponti e la Altara nacque una profonda amicizia, che proseguì fino agli ultimi anni delle loro vite. L'architetto genovese Paolo Piccione, lo scorso novembre, ha pubblicato, per la Idea Books, il volume: «Gio Ponti Le Navi - Il progetto degli interni navali 1948-1953». Nelle pagine di questo libro, che racconta la storia di sei transatlantici attraverso i disegni e gli arredi dell'architetto milanese, compaiono le foto di decine di opere di Edina Altara. Diverse nature morte sul Conte Grande, una galleria di donne in costume tradizionale sul Conte Biancamano, e miti e leggende sulle motonavi Africa e Oceania. Sull'Andrea Doria, Edina raccontò delle nozze tra Bacco e Arianna, ma fino a pochi mesi fa, di quelle opere non si sapeva nulla. La fotografia in bianco e nero, recuperata dall'archivio di famiglia, in cui si vede lo studio milanese della pittrice, era stata pubblicata nel 2005 sulla monografia «Edina Altara», scritta da Giuliana Altea per la Ilisso. Molti lavori della Altara fanno parte di collezioni private, o sono dimenticati nei depositi di musei che non sanno neppure di possederli. Sembrava che il destino avesse riservato per Bacco e Arianna una sorte analoga. Ma la vita di quel dipinto durò appena tre anni. Dal gennaio 1953, quando ci fu il viaggio inaugurale dell'Andrea Doria, transatlantico "ambasciatore" nel mondo del design e dell'arte italiana, fino all'estate del 1956 e alla notte nebbiosa in cui avvenne l'impatto con la Stockholm, davanti alle coste statunitensi. Nel 1952, pochi mesi prima rispetto ai lavori per l'Andrea Doria, Gio Ponti scrisse di Edina sulla rivista Domus: «Noi attendiamo da lei una esposizione di piccoli specchi dipinti a frammenti di storie; attendiamo una incantevole mostra di questa "cantastorie col pennello", un canzoniere dipinto, parole e pittura, da riguardare tante volte, come si ascolta tante volte il disco d'una canzone: parole e musica».
Federico Spano
Nella stessa pagina della Nuova, Giuliana Altea ha scritto un articolo sul rapporto tra Gio Ponti ed Edina Altara, intitolato: “Con il designer milanese una lunga collaborazione”.
Protagonista dell'architettura e del design dagli anni Venti agli anni Settanta, instancabile animatore e propagandista del genio e dell'inventiva italiani dalle pagine della sua rivista Domus, Gio Ponti è nel nostro paese la figura che con maggiore costanza ha difeso le ragioni della decorazione, anche in tempi in cui si celebravano la nudità del muro bianco e dei mobili in metallo. Innamorato dell'artigianato, ha promosso e incoraggiato ceramisti, orafi, artisti del legno e del ferro, ornatisti fantasiosi come Fornasetti, chiamandoli a collaborare con sé, coinvolgendoli nell'arredamento e negli allestimenti degli edifici e delle navi che progettava. In questo quadro di interessi si inserisce il rapporto che lo legò a Edina Altara, un rapporto ancora da approfondire, ma che certamente li vide vicini per circa un decennio. Negli anni Quaranta, quando l'Italia stremata dalla guerra si risollevava coraggiosamente con uno sforzo produttivo che avrebbe gettato le basi del nuovo design nazionale, Altara, da tempo stabilitasi a Milano, spaziava in vari campi della decorazione: dall'illustrazione - la sua attività primaria - alla moda, dalla ceramica all'arredo. L'incontro con Ponti potrebbe essere avvenuto nel 1942, quando Edina comincia a collaborare come illustratrice alla rivista Bellezza, in quel momento diretta dall'architetto; o forse prima ancora, alla Triennale di Milano del 1936, cui aveva partecipato con dei disegni su stoffe. Per lui esegue specchi dipinti che vanno a ornare mobili, porte, pareti di case e di transatlantici. I più belli non sono i lavori realizzati su commissione, e Ponti lo sapeva: "guai a darle noi un tema: si spegne tutto", osservava su Domus in un articolo in cui rendeva omaggio al suo talento. Le strettoie del tema obbligato influenzano i pannelli con nature morte realizzati nel 1949 per il Conte Grande (immagini dal colore un po' arido e monotono, il cui soggetto evidentemente non la ispirava, e che si vedono ora al MAN) o quelli con figure in costume sardo dipinti l'anno dopo per il Conte Biancamano. La bravura di Edina rifulge invece al meglio nei soggetti mitologici e fantastici, dipinti sulla spinta di divagazioni improvvise e di una fantasia poetica e bizzarra. Qui l'artista riversa la sua immaginazione capricciosa e alata, teneramente ironica, sbizzarrendosi a trovare simbologie dal sapore infantile e malizioso. La sua vicinanza a Ponti si fa più stretta verso il 1946, quando pubblica su Stile - un'altra delle riviste pontiane - un articolo che riassume la sua visione emozionale e soggettiva dell'arredo, e che il direttore intitola Mi batte il cuore. Negli anni Quaranta Ponti la ritrae più volte in varie tecniche, disegno, pittura, dipinti su vetro; nell'inviarle un ritaglio giornalistico che riproduce uno di questi ritratti, lo accompagna con la dedica "alla donna più bella del mondo" (Edina, all'epoca non più una ragazzina, era in effetti ancora piena di fascino). In una foto di gruppo dei primi anni Cinquanta, le sta alle spalle, vigile e protettivo, accanto a Piero Fornasetti con la moglie in una posa analoga. Ancora nel 1973, le scriverà in una lettera "tu sei indimenticabile, ed io devo molto a te". D'altro canto, le lettere di Ponti sono le sole che Edina abbia conservato, e forse non solo perché ono lettere-disegni, bellissime, come quelle che l'architetto usava spedire agli amici più cari. Non è però necessario pensare obbligatoriamente a qualcosa di più romantico di una collaborazione. Edina Altara, "gran donna di valore" (per usare le parole dell'architetto), e alle cui qualità di grazia e intelligenza era difficile rimanere insensibili, incarnava agli occhi di Ponti un valore che toccava in lui corde più profonde di quelle semplicemente estetiche: le virtù - femminili per eccellenza - della decorazione, questa `pelle' seducente che riveste gli oggetti, che si sovrappone alla forma ma non per occultarne la purezza, come volevano i razionalisti più ortodossi, bensì per iscrivere su di essa le tracce della cultura e del sentire umano.
Giuliana Altea
Sempre sulla Nuova, ho pubblicato una breve scheda sull’Andrea Doria e sul naufragio.
L’Andrea Doria fu varata il 16 giugno 1951 e partì per il viaggio inaugurale alla volta di New York il 14 gennaio 1953, dopo un battage pubblicitario imponente. Il 25 luglio 1956, la nave, comandata dal capitano Piero Calamai, viaggiava in direzione di New York, proveniente da Genova. Contemporaneamente, la Stockholm, un transatlantico svedese per il trasporto di merci e passeggeri, si dirigeva verso Goteborg. Alle 23.10 i due giganti del mare stavano per incrociare un corridoio navale molto trafficato. Nascoste dalla nebbia, le navi si avvicinavano, guidate solo dal radar, e interpretarono male i rispettivi comportamenti. Non ci fu alcun contatto radio, e una volta ottenuto il contatto visivo era troppo tardi per evitare l'impatto. La prua rinforzata della Stockholm sfondò la fiancata dell'Andrea Doria e la squarciò per quasi tutta la sua lunghezza, entrando per tre piani di cabine e uccidendo 46 dei 1706 passeggeri. Subito dopo la collisione l'Andrea Doria iniziò a imbarcare acqua. Dopo dieci ore di agonia, affondò davanti alle coste statunitensi. Grazie alle condizioni ambientali relativamente semplici del luogo del naufragio, con il relitto a soli 75 metri di profondità, la Andrea Doria è un frequente obiettivo di subacquei in cerca di tesori. Il giorno dopo l'affondamento della Andrea Doria i subacquei Peter Gimbel e Joseph Fox riuscirono a localizzare il relitto e pubblicarono delle foto sul Time. Gimbel in seguito condusse un gran numero di immersioni, inclusa una destinata a recuperare la cassaforte della prima classe, nel 1981. L'apertura della cassaforte, avvenuta in diretta televisiva nel 1984, permise il recupero solo di alcuni certificati d'argento americani e banconote italiane dell'epoca. La campana della nave fu riportata in superficie alla fine degli Anni 80, e la statua dell'Ammiraglio Doria fu recuperata dal salone di prima classe. Il recupero di oggetti sulla Andrea Doria ha anche provocato la morte di diversi sub: forti correnti e depositi di fango possono ridurre la visibilità a zero. Il destino dei dipinti di Edina Altara è legato a quello dell'Andrea Doria, sul fondo dell'Atlantico.
Alcuni video dedicati al transatlantico Andrea Doria.
Bel post ! Organizzato bene, piacevole da leggere. Grazie di aver pensato ai due video.
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